Idee per un confinamento conviviale

Nell’ultimo anno la pandemia ha inevitabilmente ridotto la nostra attività, votata all’autogestione, alla politica dal basso, alla socialità, alla cultura, alla contaminazione e alla condivisione di saperi, esperienze, oltre che alla convivialità quotidiana.

Ma non ci siamo mai arres3 all’errata equazione secondo la quale se si pratica socialità, in tutta sicurezza, si viene tacciati di superficialità o peggio ancora di negazionismo. Quando 12 anni fa decidemmo di aprire uno spazio sociale in una città terremotata, lo facemmo perché sapevamo quanto era fondamentale la socialità per il benessere individuale e di comunità. Quel coraggio ci guida ancora oggi.

Non ci arrendemmo al processo di infantilizzazione della popolazione perpetrato nei primi mesi del post-sisma, allo stesso modo in cui non ci arrendiamo all’infantilizzazione e al tentativo di colpevolizzazione delle persone che sta guidando l’azione politica e la vita pubblica da un anno. Non smettere mai di essere comunità è l’unico antidoto reale alla ricostruzione della nostra società frammentata, rinchiusa in casa, sfiancata dalla pandemia e da come viene governata.

È troppo semplice gestire le cose soltanto aprendo o chiudendo tutto, in una logica on/off inaccettabile per la complessità di questo momento. Più difficile, ma anche più efficace, è cercare di trovare un equilibrio tra la tutela della salute di tutte e tutti, e la necessità di garantire una salute mentale che passi per la socialità, la cultura, il confronto continuo tra persone, l’autogestione.

Stiamo ricercando costantemente questo equilibrio, che insieme alle nostre attività necessarie, è il perno della nostra pratica. Lo abbiamo fatto e continuiamo a farlo, in sicurezza.

Quello che segue è un documento elaborato al termine di un processo di consapevolezza che ci ha vist3 protagonist3. Vogliamo aprire uno squarcio in un dibattito pubblico sonnolento, per opporci insieme a decisioni politiche insensate o dannose, e insieme trovare soluzioni alternative del nostro vivere pandemico.

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Gli aquilani hanno sviluppato una certa abitudine all’emergenza. Si potrebbe persino dire che per alcuni di noi essa sia diventata una condizione quasi naturale, negli anni successivi al 2009, spingendoci a riappropriarci dello spazio urbano anche quando, con la Zona rossa del centro storico, sembrava letteralmente impossibile.

Tuttavia, c’è una differenza cruciale tra una situazione post-sismica e l’attuale emergenza pandemica: dopo un terremoto – sbattuti fuori dalle proprie case, per strada – è quasi inevitabile stare insieme, cercare la presenza altrui, volere con forza la partecipazione. Al contrario, nel momento attuale, è la socialità a essere più duramente colpita. In questo caso, quindi, l’esigenza di trovare spazi di aggregazione e di condivisione reali si impone a nostro parere come prioritaria, configurando un’emergenza nell’emergenza. Alla luce delle misure di contenimento che affliggono l’Italia e il mondo, ci siamo posti allora un obiettivo: provare a dare spazio proprio adesso al nostro bisogno di comunità.

In quanto giovani, e quindi appartenenti a una fascia di età che sembra non essere particolarmente colpita da condizioni di salute gravi conseguenti alla contrazione del SARS-CoV-2, crediamo infatti sia necessaria una risposta che possa garantire la socialità e l’incontro di idee – elementi fondanti di una vita sana. Dal momento che sono stati presi provvedimenti limitanti le libertà personali di ognuno/a sacrificando la vita all’emergenza, questa esigenza è diventata per noi, in particolare all’inizio di novembre 2020, quando la zona rossa minacciava nuovamente la conduzione di una vita “normale” dopo l’esperienza del lockdown primaverile, sempre più urgente e irrimandabile. Dare forma a una nostra soluzione alternativa non è stato tuttavia sinonimo di un inno alla disobbedienza civile irresponsabile ma, al contrario, ha voluto essere una ricerca di proposte ragionevoli e quindi non rischiose da un punto di vista sanitario, conciliabili con il processo di crescita che dovrebbe caratterizzare la vita di ognuno/a. È vantaggioso infatti per dei giovani ritrovarsi tra di loro, mantenendo alcune libertà e senza con ciò correre il rischio di contagiare parenti e amici meno giovani. 

In questo frangente pandemico, si dà poca importanza alla salute mentale, che si tratti di persone con disturbi pregressi o degli effetti prodotti dalle misure di contenimento del contagio sul resto della popolazione. La privazione della socialità incide infatti profondamente sulle condizioni psichiche dei singoli individui, aggravando una situazione di frammentazione sociale già fin troppo avviata negli ultimi decenni. Il lockdown non è uguale per tutti, dal punto di vista economico: è un fatto ormai emerso. Ma si tratta di tenere conto, persino ora, anche di aspetti che, trascurati e anzi penalizzati dai provvedimenti governativi, sono indispensabili alla conservazione di uno stile di vita degno di questo nome. Preservare un barlume di socialità – se non addirittura sfruttare l’occasione per riscoprire forme di vita trascurate o mettere in discussione una tendenza sempre più diffusa, nelle nostre società, all’isolamento – rientra tra di essi.

A livello personale, abbiamo perciò ritenuto giusto rispondere per mezzo di una convivenza inter nos che ci permettesse di proseguire la vita a cui abbiamo diritto e di cui abbiamo bisogno. Oltre agli evidenti vantaggi che il perseguimento di un tale obiettivo ha garantito ai singoli che vi hanno preso parte, crediamo che il discorso così intrapreso possa ampliarsi mettendo in contatto varie esperienze di questo tipo. Si tratta insomma di sollecitare le persone a ritagliarsi uno spazio, il quale dovrebbe oggi necessariamente configurarsi in termini di convivenza, per garantire le interazioni sociali, pur ristrette, indispensabili a una vita non interamente votata alla produttività.

Al fine inoltre di provare a creare una rete che possa permettere, attraverso lo scambio di esperienze, l’interazione tra le strategie di risposta elaborate da diverse realtà sociali, ci proponiamo di aprire un dibattito, non solo locale, concernente il senso e la portata di una simile sperimentazione. In altri termini, questa scelta può e per certi versi dovrebbe diventare un paradigma, da collaudare anche in circostanze non emergenziali. In tal senso, la nostra “quarantena autogestita” ha voluto essere produttiva anche in termini politico-culturali (soprattutto attraverso la produzione di diversi podcast), dando spazio a un bisogno di espressione non riducibile alle forme della comunicazione contemporanea (social network, ecc.).

Il confinamento conviviale che abbiamo vissuto è stato dunque un’esperienza integrale, capace di rivelare a noi stessi che un’alternativa è possibile, anche per circostanze future. È stato per noi importante, ad esempio, iniziare a capire cosa voglia dire gestire la manutenzione di un posto, renderci indipendenti, per quanto possibile, dalle dinamiche del mondo attuale, centrato su un consumo di merci e di servizi sempre più invasivo, mettendo in discussione le abitudini (comprare su amazon o ordinare su justeat) che caratterizzano il nostro tempo. È importante, insomma, cogliere l’occasione per ridiscutere (quando se non adesso?) i modi di vita di una società sempre meno ospitale, per le nuove generazioni e non solo per loro. Ora più che mai è importante riportare l’attenzione su altre forme di convivenza, non necessariamente legate al modello incarnato dalla famiglia mononucleare e dallo stile di vita consumistico attualmente in vigore. Occorre impegnarsi a ricreare un tessuto di relazioni, a livello locale e nazionale, che possa mettere all’ordine del giorno un bisogno di cambiamento radicale che, crediamo, sia ormai non più procrastinabile e che ci sembra diventare sempre più irresistibile.