Meno droni, più tamponi

Uno degli aspetti più discussi in questo periodo di quarantena è stato quello del controllo sociale, nelle maniere più disparate. Dai sindaci che inveiscono contro i loro cittadini sui social media fino alla “caccia all’untore” che va a correre o a passeggiare, in molti casi strumentalizzata per farsi un po’ di propaganda politica (vedi la Raggi che insegue la gente in diretta con la D’Urso). 

Un messaggio (diffuso a canali unificati e che presto ha “contagiato” tutti noi) che se da un lato sembra richiamare un atteggiamento civico collettivo, dall’altro mira a promuovere atteggiamenti di sospetto e denuncia reciproca tra le persone. 

Questa narrazione diventa ancora più tossica se la si confronta ai dati (forniti proprio dal Governo) per cui il 97% delle persone fermate per i controlli stava rispettando le regole. Ma allora perché questa istigazione alla delazione e alla denuncia reciproca?

Si potrebbe sospettare che rimarcando la colpevolezza del cittadino come unica causa del problema, si voglia alterare il vero contesto delle responsabilità, come se la colpa della diffusione del corona virus fosse nostra, non di chi ha gestito male e in ritardo l’intera emergenza.  

All’interno di questo paradigma trova posto la richiesta di controllo sociale in termini di tecnologia avanzata portando a modello il sistema attuato dalla Corea del Sud e dalla Cina.

Molte di queste considerazioni vengono fatte nell’ignoranza dei contesti di cui si parla. Prendiamo l’esempio coreano: ci si riferisce a ciò che è stato fatto dalla Corea del Sud in termini di controllo sociale attraverso l’impiego delle nuove tecnologie, come se si stesse parlando di un Paese arretrato, senza rendersi conto che si tratta in realtà di uno Stato con una ricchezza ed uno sviluppo tecnologico da cui l’Italia è lontana anni luce e rispetto al quale i paragoni sono quindi totalmente decontestualizzati. Basta pensare che le basi di acquisizione dati che hanno utilizzato sono stati i pagamenti con carta di credito (lì è quasi la totalità dei pagamenti, in Italia potrebbe funzionare secondo voi?) e le identificazioni tramite videocamere (che lì sono praticamente ovunque e qui, per fortuna, no).

Ovviamente i ragionamenti sono un po’ più complessi e bisogna tenere conto che “le scelte che prenderemo ora potranno cambiare le nostre vite per gli anni a venire” come sostenuto dall’antropologo Harari nel suo ultimo articolo.

Nessuno ovviamente in questa fase vuole negare la necessità di controlli che consentano che le regole di distanziamento siano efficaci, però viene spontaneo chiedersi come mai così tanta attenzione è stata posta a livello mediatico e politico sulla “caccia al corridore” mentre fino a qualche settimana fa in Italia 12 milioni di persone erano ancora obbligate a recarsi ogni giorno a lavoro (fonte Fondazione Di Vittorio). E anche adesso, dopo l’ultima stretta del Governo sulle aziende, ci sono numerosi settori non essenziali che sono ancora attivi, primo fra tutti quello degli armamenti, che costringe migliaia di lavoratori ad andare a lavorare quotidianamente, anche nelle aree più colpite, esponendo loro stessi e i loro familiari al rischio di contagi.

Questo sforzo mediatico di colpevolizzazione dei cittadini, messi gli uni contro gli altri e minacciati da un controllo ossessivo (attraverso droni, cellulari, social, telecamere e quant’altro) rischia tanto di sembrare una grande operazione di distrazione di massa. 

Distrazione da cosa? Riecco i soliti Gomblottishti?

No, distrazione da una cosa molto semplice che è sotto gli occhi di tutti. La totale inefficienza della risposta delle nostre istituzioni alla diffusione del virus, lì dove si sarebbe dovuto cominciare: dal sistema sanitario nazionale. Un sistema che è stato indebolito e privatizzato sistematicamente negli ultimi anni (da governi nazionali e regionali di tutti i colori), in cui gli allarmi e i rischi di una simile pandemia lanciati negli scorsi anni dal mondo della scienza sono rimasti inascoltati, in cui oggi medici e operatori sono costretti a lavorare in mancanza di regole e linee guida uniche e chiare, senza adeguati dispositivi di sicurezza e addirittura in moltissimi casi senza neanche il diritto a ricevere i tamponi di controllo (però a Dybala e tanti altri “famosi” e “ricchi” lo hanno fatto subito, come mai?).

Questo per noi era il “controllo sociale” e la “sicurezza” da cui si sarebbe dovuti partire. La messa in campo di un sistema di assistenza e supporto alle fasce a rischio, moltiplicando il numero di tamponi e diffusione di dispositivi di protezione, favorendo un approccio di prossimità, piuttosto che concentrando tutto nei grandi ospedali che alla fine sono diventati i principali focolai del virus. Diffondendo un messaggio di solidarietà sociale, a partire dalla cura delle marginalità e delle fasce più deboli, non un clima di paura e una guerra tra poveri.

Alla contrapposizione tra libertà e sicurezza posta in questo modo non ci stiamo. L’unica libertà possibile – libertà che non esclude e anzi implica la sicurezza – è inseparabile dalla responsabilità. La vera alternativa, dunque, riguarda la nostra disponibilità, anche e soprattutto in un frangente come quello attuale, ad auto-governarci, innanzitutto sul piano individuale. Non per accettare in maniera consenziente e passiva misure che non ci sembrano accettabili – come sarebbe il caso in cui i dispositivi di tracciamento dei movimenti dei singoli venissero dispiegati senza criterio, nel nostro Paese, per “tutelare” la popolazione da se stessa. Si tratta al contrario, di imparare che solo espandendo la propria responsabilità al di là del proprio interesse più immediato una società può diventare sicura e non avere bisogno del controllo da parte di chi vuole governarla seguendo spesso gli interessi che non sono quelli dei “governati”. 

Il “controllo” doveva (e deve!) dunque servire ad individuare le persone contagiate in modo da tutelare i soggetti a rischio, i medici e i tanti lavoratori coinvolti a tutti livelli (spesso esternalizzati) nel sistema sanitario, facendo sorveglianza attiva sui territori attraverso i tamponi e garantendo la trasparenza delle informazioni a tutti i cittadini, non a trasformare il nostro Paese in un uno scenario di guerra, in cui la funzione poliziesca è assolta malamente oltre che dalle istituzioni anche dalle persone qualunque.

Non ne possiamo più di vedere video di sindaci che fanno a gara per avere visibilità insultando i propri cittadini (molti dei quali per assurdo approvano e condividono!) con video di cacce ai corridori, droni, minacce. Perché piuttosto non fanno il loro lavoro? Ovvero prendersi cura della comunità, di chi ha maggiori difficoltà, di chi non ha i soldi per andare a fare la spesa, di chi una casa in cui restare non ce l’ha?

Per fortuna questo ruolo lo sta assolvendo come al solito il mondo del volontariato, l’associazionismo e le reti sociali, con buona pace di buffoni come Vespa e il comandante Alfa.

E’ quello che con molta difficoltà stiamo provando a fare anche noi del 3e32, tenendoci in contatto, organizzandoci e provando a non farci fare il lavaggio del cervello da chi vuole solo nascondere le proprie responsabilità.