Intervista 3e32 su liberazione del 16 novembre

Non un centro sociale. Non un comitato. Il 3e32 è più una “roccaforte” indipendente all’interno di una città distrutta: L’Aquila. Il nome è composto dall’ora in cui il capoluogo abruzzese ha iniziato a tremare nella tragica notte del 6 aprile 2009. Le persone che lo hanno “fondato” sono giovani e giovanissimi abruzzesi: qualcuno di loro viveva a L’Aquila, altri vi hanno fatto ritorno dai luoghi in cui studiavano e lavoravano per occuparsi delle rinascita del loro territorio. Da quel 6 aprile sono una spina nel fianco di chi ha gestito, governato e comandato la “ricostruzione”.
Il motore di decine di mobilitazioni, assemblee, iniziative. Nonché coloro che, per primi, si sono mobilitati per impedire che la Protezione civile modello “comando e controllo” diventasse una Società per azioni. Oggi, mentre si preparano alla grande manifestazione “Sos L’Aquila chiama Italia” in programma sabato prossimo, prendono parola collettivamente in difesa di un “loro” giornale: Liberazione. «E’ importante – dicono – che la stampa che Liberazione rappresenta continui ad esistere e venga sostenuta. Nel primissimo periodo dopo il sisma erano veramente pochi i giornali e i giornalisti a non credere a tutto ciò che il governo diceva. Liberazione ha tenuto invece bene il polso della situazione locale. Ha dato voce ai più deboli interessandosi per esempio della situazione dei lavoratori migranti alcuni dei quali morti sotto le macerie». Dietro la motivazione di taglio alla spesa pubblica il governo nasconde ilchiaro intento di eliminare il pluralismo. Come giudicate questa situazione? Con i tagli all’informazione, alla cultura, alla formazione l’obiettivo di questo governo è sterilizzare la dimensione del sapere e l’ambiente culturale, andando anche in controtendenza con l’ Europa. Una strategia iper tattica che ha ripercussioni quasi esclusivamente sul presente. Non investire sulla ricerca, per esempio, è dovuto alla disperata necessità di tattiche per continuare a governare e avere un consenso nell’immediato, sacrificando tutto. Così si è arrivati al paradosso per cui chi fa cultura e informazione è visto come una sorta di parassita sociale. «Il sapere non è fatto per comprendere ma per prendere posizione» scriveva Focault. E ciò diventa tanto più vero quando i rapporti tra sapere e potere sono estremamente frammentati e frastagliati come nella società “liquida” odierna. Come aquilani, in questi 19 mesi post sisma, avete dovuto “fare i conti” in prima persona con la stampa. Un bilancio? La prima cosa che ha colpito la popolazione aquilana tutta, non abituata fino al 6 aprile 2009 a stare sotto i riflettori, è stato l’aspetto puramente sensazionalista. Foto e video dappertutto ad inseguire l’ultimo cadavere, l’ultima lacrima. Gli aquilani – increduli – hanno avuto la sensazione di trovarsi in un reality show costante. I campi tenda nelle prime settimane erano dei veri e propri set televisivi. E a prendere saldamente in mano le redini del reality, è stato sicuramente il capo del governo Silvio Berlusconi che in tal modo ha potuto costruire il set televisivo del miracolo aquilano. Peccato che la stampa (anche quella di centro-sinistra) si sia completamente asservita al suo scopo. Rimanevamo increduli anche di fronte all’atteggiamento dei giornali locali. Guido Bertolaso era l’eroe assoluto. Cinque colonne per ogni stupidaggine che faceva o diceva. Sempre da parte della stampa locale – che è quella che più fa opinione tra chi vive il territorio quotidianamente – abbiamo assistito all’oscuramento quando non alla stigmatizzazione di ogni forma di protesta e dissenso. Qualcosa che non scorderemo. Relativamente, invece, alla stampa “di sinistra” o “indipendente”? Chi si informava tramite questa stampa iniziava a conoscere da subito un’altra realtà. D’altronde, di fronte alla complessità della situazione non poteva essere realistica la versione semplicista e salvifica veicolata dai media e dalle testate mainstream. Roba da favole per bambini. Il problema è stata la differenza nella “potenza di fuoco”. Assolutamente superiore quello della televisione su tutte. La verità ufficiale veniva messa in discussione da così poche parti che anche chi normalmente è abituato ad avere un certo senso critico tendeva a credere e veicolare l’informazione di regime. L’ufficio stampa della protezione civile in questo senso è stato assolutamente eccezionale. Una vera e propria macchina da guerra con molti soldi a disposizione. Anche gli aquilani hanno iniziato a credere più alla propaganda che ai loro occhi. Su L’Aquila – anche prima dello scandalo delle telefonate tra gli sciacalli – è stato scritto quasi tutto. Ma non importava a nessuno. Ragion di Stato. Lungo e tiranno stato d’eccezione. Si avvicina la data del 20 novembre. Come vi state preparando? Rispetto alle altre manifestazioni la novità è che stiamo tentando di comunicare anche a livello nazionale. Questo ci sta permettendo di affrontare una nuova e difficile maturità nel raccontare le nostre lotte e trovare i punti in comune con le altre in tutta Italia. A L’Aquila la crisi è amplificata, il livello di qualità della vita è davvero sotto lo standard nazionale. Noi non abbiamo una città. Abbiamo delle rotatorie nuove di zecca intorno alle quali nascono dei nuovi pezzi assurdi di micro-stanziamenti come bar, farmacie, venditori ambulanti in baracche o container. Le persone girano in macchina e nel traffico trovano l’unico momento di “aggregazione”. Abbiamo un tasso spaventoso di disoccupazione e cassaintegrazione. Come risposta a tutto questo viene sgomberato lo spazio autogestito di CaseMatte a ColleMaggio, forse l’unico posto di socialità in una città distrutta. Molte mobilitazioni sono state fatte a L’Aquila. Alcune di queste hanno portato a risultati importanti. Una su tutte, quella contro la Protezione civile Spa. La battaglia è stata vinta e con voi c’era una piccola fetta dell’informazione indipendente. Quanto è stato importante questo binomio: attivisti più giornalisti indipendenti? In questa battaglia davvero la stampa indipendente ha avuto un ruolo fondamentale. Articoli e libri che denunciavano a chiare lettere cosa stava diventando la protezione civile, sono usciti anche su Liberazione ben prima dello scandalo dell’inchiesta sul G8 della Maddalena nei primi di febbraio 2010. In questo senso la cooperazione tra movimenti come il nostro e i giornalisti indipendenti è stata essenziale. Uno scambio di informazioni continuo nella cornice di una cooperazione costante. Il rammarico, anche qui, è che si è dovuto aspettare che la magistratura si pronunciasse per far vedere a tutti il Re Nudo. Da quel giorno molti giornalisti molto poco indipendenti fanno a gara per trovare le illegalità nel processo di ricostruzione che interessa L’Aquila. Lo avessero fatto prima… A volte scrivere denunciando non è sufficiente. Bisogna lottare. Abbiamo bisogno di complici!

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